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Sarebbe stato il mattino del Suo ultimo
"Capodanno" quel lontano giovedì del 1955 quando, per un antico
rituale, "u capitanu du portu" sbirciò attraverso la persiana
socchiusa, verso i Suoi tanto amati relitti. Li contò, ne registrò le assenze,
osservò i segni sulla sabbia e dedusse che, si, anche in quel fine d'anno la
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tradizione era stata rispettata: quelle inutili ancore erano tornate, ancora una
volta,alla vita.
Austero, dai lunghi bassettoni brizzolati a cornice dei quali
folti, ricadenti baffoni ne completavano il personaggio "salgariano", il signor
Nino Valenti, Capitano di Porto Onorario, scioglieva le più fantasiose
immaginazioni, al canto dell'impertinente risacca, a favore di velieri dalle
bianche vele dispiegate al benefico vento di libeccio. Ed era,proprio in questo
immaginario collettivo che, questo canuto uomo sul cui volto il tempo aveva
cessato di scolpite le sue indelebili tracce, rappresentava quel
"quid" di irripetibile che madre natura elargisce a pochi eletti a
riprova di un indiscusso, carismatico modo di essere.
Non mi è stato concesso, per ovvi motivi, di incrociare il
percorso del Capitano, ma, cognizioni che mi provengono da sensazioni non solo
epidermiche, riportano alla mia memoria fantastiche storie dal fibrillare delle
quali una candida divisa della Reggia Marina Italiana vi appare incastonata in
una inossidabile "classe" affidata alla discreta, amorevole custodia
della Sua amatissima Rosa.
Malgrado, quindi, l'uomo apparisse dai contorni fermamente
ritagliati, tuttavia, veniva talmente coinvolto dalla irrealtà suggestionale da
consentirsi di stigmatizzare atti e comportamenti inalienabili come frutto di
un'unica, irreversibile matrice. Cosicchè, anche se l'elegante e ricercato
Capitano poco lasciava al "caso", nondimeno, per una sorta di
"fatalita" perfettamente aderente al Suo lessico, non poteva non
concedersi una "chance", ritenendo la "jella" nata prima del
figlio di Dio.
Dalla Sua casa in riva al mare dal gusto vagamente coloniale,
scrutava l'orizzonte col Suo fido, inseparabile cannocchiale ed in quel gesto
celava, probabilmente, la Sua struggente malinconia per una giovinezza vissuta
da intrepido marinaio tra chiglie e fondali, ingabbiato in un ermetico scafandro
da palombaro.
Poi, restituito a se stesso, "solcò" le vie di
comunicazione con un incarico meno fantastico, ma più remunerativo anche se
l'esserne parte fu, sicuramente, da Lui ritenuto l'imponderabile frutto di
quella "cosa" nata oltre venti secoli prima di Lui.
Ammainò la Sua vita ad 80 anni, in piedi, come
era nel Suo stile, accettando cristianamente che "essere e divenire"
si fondessero in un unico, grande, universale progetto.
marzo 2001 (inedito)
Tano Raneri
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